La tragedia di Corinaldo ci impone di affrontare con rispetto, ma con altrettanta decisone, la questione della sicurezza nei locali e durante gli eventi. Sapendo che se vogliamo evitare di piangere nuovamente altri morti devono essere adottate misure e comportamenti seri da più parti.
Quest’estate nel riminese sono stati chiusi diversi locali a causa di ripetuti episodi di violenza, risse, spaccio e somministrazione di alcool, anche a minori. Ho condiviso e sostenuto la scelta di chi (il nostro Questore) ne ha deciso la chiusura. E anche oggi credo che esista una responsabilità chiara ed ineludibile di chi organizza eventi, innanzitutto nel rispetto dei numeri massimi di presenza nei locali (diciamo subito che i sistemi per “contare” gli ingressi sono numerosi, diffusi e praticabili, volendolo fare).
Ben vengano poi strumenti come metal detector e controlli su borse e zaini come – oggi – proposti da qualche associazione: se servissero adeguamenti delle norme per poterlo fare che si facciano gli eventuali approfondimenti. Dobbiamo, a questo riguardo, avere la consapevolezza che la diffusione delle bombolette spray è legata anche al senso (o alla realtà) di insicurezza diffusa con la quale conviviamo forzatamente: non possiamo negare che lo spray al peperoncino spesso venga proposto dagli stessi genitori, comprensibilmente preoccupati, ai propri figli ed alle proprie figlie come strumenti di difesa da rischi che effettivamente sussistono (e a Rimini purtroppo ne sappiamo qualcosa).
C’è poi una responsabilità di chi educa: le famiglie, la società, gli organi di informazione. Non si tratta di richiedere un generico, astratto ed impossibile “rispetto delle regole”, ma di fare capire che ogni gesto ha una conseguenza. Così come, per capirci, hanno avuto conseguenze le uscite infelici di chi l’estate scorsa, compresi purtroppo amministratori locali e regionali, hanno sostenuto l’idea che “gli affari sono affari”, che non bisogna far cadere ombre sui locali, sul modello del divertimento a tutti i costi, che i controlli e le decisioni sulla sicurezza vanno prese con prudenza (pensando al business, non alla vita o alla salute delle persone).
Questo atteggiamento non solo non produce sicurezza ma è anche gravemente diseducativo, perché diffonde l’idea che quello che conta sono solo o soprattutto gli affari. Se ci sono locali, contesti, situazioni, eventi che mettono a rischio la sicurezza bisogna semplicemente non consentirli o consentire il possibile, senza invocare a dicembre i controlli e in estate sostenere che “business is business“, oppure a dicembre avere gli occhi lucidi e in estate indicare come nemico del territorio chi cerca di evitare che gli affari di qualcuno siano una tragedia per tutti gli altri.